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Nel solo mese di giugno nell’area metropolitana di Venezia introvabili 6mila400 lavoratori. Per Mpi danno da 219 milioni di euro.

01 Luglio 2024

Martin: La ricerca di personale ha tempi medi di 3,3 mesi che possono superare un anno per trovare operai specializzati. Bene il superbonus per le aziende che assumono a tempo indeterminato. Incentivare è importante ma non basta.  Dobbiamo infatti trovare le persone a cui dare questi incentivi.

Cresce il gap tra domanda ed offerta di lavoro, soprattutto se qualificato. Nel 2023 le imprese veneziane indicavano difficoltà di reperimento per il 47% del personale necessario, pari a 53.467 posti rimasti scoperti. A giugno 2024 la quota di lavoratori introvabili si è mantenuta pressoché stabile (46,8%), pari a 6mila400 persone soltanto in questo mese. Il problema è ancora più grave per le piccole imprese metropolitane che, nel 2023, non hanno trovato il 48,4% di manodopera richiesta, una quota che balza al 50,2% per le imprese artigiane. A rilevarlo è l’ufficio studi di Confartigianato Imprese Città Metropolitana di Venezia che ha elaborato i dati Excelsior-Unioncamere. La ricerca di personale ha tempi medi di 3,3 mesi che possono superare un anno per trovare operai specializzati. Tutto questo per le piccole imprese ha un costo quantificato da Confartigianato per la sola provincia di Venezia in 219 milioni di euro di minore valore aggiunto per le ricerche di manodopera che durano oltre 6 mesi.

A mancare sono soprattutto le competenze per affrontare la transizione digitale e la gestione dell’intelligenza artificiale, big data analytics, internet of things e robot. Secondo il rapporto di Confartigianato, per quanto riguarda la difficoltà a trovare personale esperto di intelligenza artificiale e tecnologie 4.0 nelle piccole imprese, la situazione peggiore si registra in Trentino Alto Adige dove è introvabile il 67,2% dei lavoratori con elevata richiesta di competenze digitali avanzate 4.0 necessari alle Pmi (9.330 su 13.890). Seguono a breve distanza il Friuli Venezia Giulia, dove manca il 65,2% di personale pronto ad affrontare l’IA (4.800 su 7.360) e l’Umbria con una quota del 63,8% (2.980 su 4.670). A soffrire la carenza di personale con e-skill anche il Veneto con 20.270 ‘introvabili’ su 34.590, pari al 58,6%.

“La carenza di personale qualificato – afferma il Presidente di Confartigianato Imprese Città Metropolitana di Venezia Siro Martin – è un’emergenza da affrontare subito, soprattutto con un’adeguata politica formativa. Bene su questo fronte –prosegue- la recente pubblicazione del decreto attuativo che crea il superbonus per le aziende che assumono a tempo indeterminato: una maggiorazione che sarà del 120%. Una maxi deduzione che apprezziamo perché va incontro alle esigenze dei nostri imprenditori. Incentivare è importante ma non basta.  Dobbiamo infatti trovare le persone a cui dare questi incentivi. Non ci sono le figure che vengano a lavorare nelle nostre aziende. La vera emergenza è avere una politica formativa che ci permetta di cerare i futuri lavoratori. Si devono irrobustire le politiche del lavoro, armonizzandole con quelle dell’istruzione e con gli interventi contro la crisi demografica e la gestione dell’immigrazione, fattore non secondario anche per le micro e piccole imprese. Dato però che, nel breve medio periodo, anche riuscendo a fare una politica immigratoria dedicata, non risolveremo il problema della mancanza di manodopera. La cosa che potrebbe aiutare nel breve, medio e lungo periodo le nostre imprese sarebbe un utilizzo massiccio dell’intelligenza artificiale per svolgere la maggior parte delle funzioni burocratico-amministrative liberando, in questo modo, personale per la produzione. Tutto questo anche perché da anni lavoriamo per una semplificazione che mai arriva. Però la gabbia demografica creerà un altro problema che spesso viene trascurato, il calo della domanda interna e questo potrebbe portare le imprese legate al mercato locale ad avere problemi di commesse nel breve periodo. Questo processo sarà accelerato dalla ricomparsa del patto di stabilità che comprimerà gli investimenti pubblici”.

“Sul mercato del lavoro –sottolinea il Presidente- si riverberano diversi fenomeni tra cui due principali. Il primo è la profonda crisi demografica, determinata da denatalità e invecchiamento della popolazione. Il secondo, non meno impattante, riguarda il rapporto delle giovani generazioni con il lavoro che va delineando una discontinuità sostanziale negli stili mentali e di vita rispetto a quando erano giovani le attuali generazioni di adulti e anziani. La recentissima pubblicazione 4° Radar di Censis-Confartigianato “Giovani e lavoro: nuovi valori e attrattività dell’artigianato” mette in luce che non vince il rifiuto del lavoro o la rassegnata accettazione di un lavoro quale che sia, piuttosto la voglia di un buon lavoro. E cos’è un buon lavoro per i giovani? In primo luogo, deve avere buoni fondamentali intesi come stabilità, adeguato livello di retribuzione e soddisfacente orario per non schiacciare gli altri aspetti della vita. Deve poi esprimere convinzioni, valori e passioni, essere coinvolgente e non routiniero, aperto alle innovazioni e al contributo creativo. Deve inoltre svolgersi in un contesto, dalla sede fisica alla rete relazionale fino all’essere un’occasione di apprendimento continuo, positivo. Forte anche la voglia di autonomia nei contenuti e nella gestione di tempi e orari, tutti aspetti che poi per tanti giovani coinciderebbero con l’avvio di una propria impresa, soluzione apprezzata ma troppo spesso confinata a sogno reso proibito dalla percezione di rischi troppo alti”.

“Positivo –analizza Martin- che, dei pilastri del lavoro ideale indicati dai giovani non pochi sono rintracciabili nel lavoro artigiano, che gode nell’immaginario giovanile di una reputazione molto positiva, tanto che a più di un terzo dei giovani che non vi lavorano piacerebbe fare un lavoro artigiano. Ma spetta anche agli imprenditori cambiare atteggiamento. E molti già lo fanno. Estrapolando i dati del Censimento permanente sulle imprese di ISTAT, emerge che per reagire alla carenza di personale, attrarre giovani talenti e trattenere i lavoratori con più elevate skills ed esperienza –conclude Martin-, il 66% dei piccoli imprenditori ha adottato una serie di strategie. In particolare, il 32,6% punta su aumenti salariali, il 28,5% su flessibilità degli orari di lavoro e il 24,9% sulla collaborazione con le scuole, soprattutto quelle ad indirizzo tecnico e professionale. Secondo la nostra indagine, infatti, per il 72% dei lavoratori necessari alle piccole imprese è richiesto un titolo secondario tecnico o con qualifica o diploma professionale o una laurea in materie scientifiche, tecnologiche ed ingegneristiche (STEM).

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